Quali sono le sfide che ci aspettano in questa nuova fase di ripresa del lavoro

Nei dialoghi si susseguono su più fronti accese discussioni sul tema del rientro in ufficio.

Ma quest’anno il dibattito ha un tono diverso perché si tratta di un rientro che arriva- o dovrebbe arrivare- dopo molti mesi di home working.

Dancing with system

Quello che stupisce di queste conversazioni è l’estrema focalizzazione sul bisogno di polarizzarsi a favore piuttosto che contro il rientro, nel tentativo di distogliere l’attenzione sul reale problema di fronte al quale ci troviamo: ovvero quello di dover ripensare completamente le logiche del lavoro indipendentemente dal luogo in cui lo si svolge.

Come se si prestasse più attenzione a far esistere (resistere?) un sistema piuttosto che investire risorse nel comprenderlo e farlo funzionare o -come direbbe Donella Meadows- “dancing-with-systems”.

La pandemia ha messo in evidenza- se mai ce ne fosse bisogno-  quanto le organizzazioni siano non lineari, auto organizzate e intrinsecamente imprevedibili e questa può rappresentare un’incredibile occasione per sfruttare i vantaggi di tale complessità.

Stay humble. Stay a learner.

Mai come adesso, a nostro parere, bisognerebbe entrare in “modalità apprendimento” ed essere disposti ad imparare gli uni dagli altri e, insieme, dal sistema. E questo è tanto più vero per quelle figure che si trovano a fare i conti con la gestione di altre risorse, ovvero quelle figure manageriali che per anni sono state formate (ed ossessionate) dal principio che solo quello che posso misurare è importante.

Ma in questo frangente storico, se c’è un’operazione estremamente difficile è quella della misurazione, della valutazione. Ed è per questo, probabilmente, che in tanti spingono per il rientro in ufficio, che si traduce in un rientro in quei luoghi, ruoli, rituali e parametri codificati che consentono di far stare la relazione con le altre risorse, all’interno di schemi consueti.

Perché, se è vero che abbiamo vissuto un lungo periodo di distanziamento e di relazioni esclusivamente virtuali, è altrettanto vero che i dialoghi via zoom ci hanno esposto a un confronto più diretto (sono aumentate le riunioni vis à vis e diminuite le plenarie), ad un ingresso nell’intimità dell’altro (abbiamo visitato case e conosciuto familiari dei nostri colleghi), aspetti ai quali probabilmente non eravamo affatto preparati.

Questo periodo ha messo in chiara luce una problematica esclusivamente culturale: sistemi totalmente impregnati da una cultura top-down che sono “crollati” nel momento in cui sono venuti meno gli spazi che li giustificano.

Allora, forse, la reale sfida che ci attende in questo momento, più che chiederci se rientrare o meno in ufficio, è quella relativa ad impegnarci affinché si possano far diventare le persone intrinsecamente motivate ed ingaggiate favorendone “Autonomy, Purpuse, Master” (cit. Drive-  D.H. Pink).

Stare insieme agli altri creando reali momenti di confronto sembra essere davvero più urgente ed importante che non riportarle in ufficio. Lavorare insieme per potenziare la chiarezza dei ruoli, la chiara e condivisa comprensione degli obbiettivi (sempre più di team e sempre meno personali) e l’accesso alle conoscenze e risorse necessarie per far esprimere al meglio le persone ovunque esse si trovino a lavorare.

In questo quadro non stupisce che prenda sempre più piede il concetto di meaning of work, la centralità del significato di quello che facciamo in quanto singoli individui, ma anche e soprattutto in quanto facenti parte di un’organizzazione che deve impegnarsi a rendere evidente il proprio scopo, al di là dell’ovvio motivo del profitto. E i manager in questo quadro saranno sempre più impegnati a garantire che i lavoratori trovino un significato nelle attività che svolgono, perché questo può contribuire ad aumentarne la felicità e la produttività.

Nina Barreca, Product Manager, Mylia

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