“Il tempo non è la cosa più importante. E’ l’unica cosa” – Miles Davis.
Cosa c’è di più prezioso del tempo? Il nostro essere tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà: il grande contenitore dentro il quale riponiamo la nostra vita. La risorsa che più scarseggia nella nostra quotidianità e di cui non se ne ha mai abbastanza.
Da sempre quello del “tempo” è stato un tema particolarmente sentito: “Tempus Fugit” citava Virgilio.
Oggi che la velocità è una variabile costante nelle nostre vite, in cui il “tutto e subito” sembra essere la condizione con la quale ci muoviamo nei nostri contesti personali e lavorativi, lo è ancora di più.
Sembrerebbe infatti che ogni richiesta che ci arrivi dall’esterno, anche la più disparata, abbia un comune denominatore: l’urgenza.
Nei corsi di Time Management ci hanno insegnato a distinguere l’urgenza dall’importanza, ciò che è urgente per gli altri potrebbe non essere importante per noi e viceversa. E ci hanno anche suggerito che, per non vivere sentimenti di frustrazione rispetto a ciò che non riusciamo a fare in quanto il tempo ci sfugge di mano, il segreto stia nella programmazione.
Quindi, agenda alla mano, abbiamo imparato a schedulare azioni e compiti in specifici momenti cercando di incasellare tutto in quei quadratini più o meno grandi che compongono le nostre giornate.
Ma…abbiamo davvero risolto? Abbiamo realmente scoperto “la panacea di tutti i mali” connessa alla gestione di un tempo che “non basta mai”?
Un Modello Emotivo Temporale
Sembrerebbe che gli esseri umani siano dotati di un “Modello Emotivo Temporale”: così lo hanno definito Michael Macy e Scott Golder che nella rivista “Science” hanno pubblicato il risultato di una ricerca attraverso la quale hanno scoperto quanto le emozioni positive crescano al mattino, calino nel pomeriggio, si rialzino la sera. Secondo questa teoria nella parte della giornata in cui le emozioni positive sono più forti, la tendenza alla procrastinazione decrescerebbe.
Ed eccoci quindi ad immaginare di riorganizzare la nostra programmazione sulla base del nostro modello emotivo temporale. Ma è sufficiente? Sembrerebbe ancora di no: infatti, non tutti gli impegni sono uguali, per il nostro cervello.
I compiti non sono tutti uguali
Due psicologhe americane, Mareike Wieth e Rose Zacks hanno somministrato ad un gruppo di persone che affermavano di ragionare meglio la mattina, un problema di “intuito” ed hanno riscontrato che, se è vero che la mattina le sentinelle del nostro cervello siano più attive, è altrettanto vero che queste sono funzionali alla risoluzione dei problemi “analitici” mentre per quelli di intuito no, essi richiedono infatti meno inibizioni, meno vigilanza. Non solo, per i problemi di intuito la mancanza di controllo inibitorio rappresenterebbe una risorsa.
Appurato quindi che esiste un Modello Emotivo Temporale che in qualche modo ci guida e che i compiti non sono tutti uguali, potremmo pensare che sia sufficiente capire quando affrontare un compito e quando un altro, a seconda della sua natura.
I cronotipi
Ma, sembrerebbe che ancora non basti. Non tutti gli esseri umani hanno la stessa percezione del giorno: ognuno di noi possiede un proprio “cronotipo”, uno schema personale di ritmi circadiani che influenza la nostra fisiologia e psicologia, cronotipi mattutini e cronotipi tardivi, alcuni sono allodole altri gufi, altri ancora, la maggior parte, sono intermedi. (Munich Chronotype Questionnaire- MCTQ- di Till Roenneberg)
A parte la genetica, il fattore età è determinante sulla definizione del cronotipo: i bambini piccoli in genere sono allodole, si svegliano presto, sono attivi durante la giornata ma non si spingono troppo oltre la prima serata. Intorno alla pubertà le allodole iniziano a trasformarsi in gufi, si svegliano tardi, guadagnano energia nel pomeriggio e la sera si addormentano a tarda ora.
Di fatto tutti noi sperimentiamo tre fasi nel corso di una giornata: un picco, un calo e un rimbalzo. E circa tre quarti di noi (le allodole) lo sperimentano in questo ordine. Ma una persona su quattro, quelli che per genetica o età sono nottambuli, sperimentano durante la giornata qualcosa di più vicino ad un ordine inverso: rimbalzo, calo, picco.
E quindi?
Riassumendo queste veloci considerazioni che rimandano ad una lettura più approfondita sul tema (Daniel H. Pink – When), ciò che conta per svolgere una qualsiasi attività, è che il cronotipo, il compito e il momento della giornata siano quelli giusti, una combinazione che gli scienziati sociali chiamano “effetto di sincronia”. Per esempio i gufi faticano a guidare all’inizio del giorno, perché la mattina non sono sincronizzati con il loro ciclo naturale di vigilanza e attenzione.
Il suggerimento è quindi: individuate il vostro tipo, comprendete la vostra natura, il compito da svolgere e selezionate l’ora appropriata per svolgerlo.
Rispetto al proprio schema giornaliero è necessario curare consapevolmente la sincronia: inserire compiti più importanti, che richiedono maggiore attenzione e chiarezza di idee, nel momento del picco; attività che richiedono una buona dose di intuito nella fase di rimbalzo. Attenzione però, anche il momento del calo va gestito!
Si tratta infatti di quegli istanti in cui la possibilità di commettere errori è dietro l’angolo: non dimentichiamoci infatti di fare pause, creandone un elenco e rispettandole, trattandole con la stessa dignità di un qualsiasi compito inserito in agenda.
Parafrasando una importantissima opera del filosofo Martin Heidegger, possiamo davvero dire che noi siamo il nostro tempo. Il tempo vissuto ci permette di organizzare la nostra esperienza, che diviene narrazione di noi nel passato, definizione di noi stessi nel presente e progettualità nel futuro.
Francesca Finocchi, Comm. & Events Coord, Mylia