Oltre la work-life balance
Lavorare meno per lavorare meglio, slogan utopico o concreto orizzonte del panorama lavorativo dei prossimi anni?
A giudicare dalle esperienze di alcuni Paesi, la 4-days week non solo può diventare realtà, ma dimostra di agganciare l’obiettivo auspicato: aumento del benessere e incremento della produttività, quindi maggiore reciproca soddisfazione delle organizzazioni e dei propri dipendenti, senza riduzioni in busta paga e con notevoli risparmi sulle spese dei consumi in ufficio.
4-days week tra passato, presente e futuro post pandemico
Se per alcuni Paesi come Norvegia e Olanda si tratta di una soluzione adottata già prima della crisi pandemica, molti altri hanno di recente ripreso l’argomento proprio sotto la spinta dei cambiamenti che tale evento ha ingenerato sia nei singoli, che stanno ridefinendo le priorità individuali, che nelle culture aziendali, sempre più improntate ad una maggiore flessibilità.
Lo scorso 6 giugno, infatti, è stata la volta del Regno Unito che ha dato il via ad una sperimentazione di sei mesi, coinvolgendo 3.300 lavoratori provenienti da settanta imprese di diversi settori.
Si prevede che, entro l’anno, anche Spagna, Irlanda, Usa e altre seguiranno le orme britanniche.
«Sempre più imprese si rendono conto che un lavoro a orario ridotto ma concentrato sugli obiettivi da raggiungere è il modo migliore per avere un vantaggio competitivo» Joe O’Connor, leader di 4 Day Week Global.
Benessere e sviluppo delle competenze, una nuova work-life balance
La ratio di questo nuovo modo di gestire il lavoro risiede principalmente nella volontà di investire in motivazione e benessere, ma quali potrebbero essere ulteriori risvolti positivi derivanti dalla possibilità di lavorare 4 giorni su 5?
Oggi vogliamo parlarvi dell’opportunità di dedicare quel tempo alla formazione dimostrando quanto anch’essa attenga alla sfera personale.
Perché se la qualità della vita è fondamentale, è altrettanto importante favorire concretamente upskilling e reskilling, ossia la possibilità di aggiornare e potenziare costantemente le proprie competenze o acquisirne di nuove, in quel processo di lifelong learning ormai irrinunciabile in una realtà lavorativa in costante mutamento.
In Mylia riteniamo che investire nella formazione impatti trasversalmente sulle esigenze individuali e aziendali, perché da un lato garantisce al lavoratore il mantenimento di un certo livello di competenza ed employability con un ritorno in termini di soddisfazione personale, dall’altro consente all’organizzazione di incrementare coinvolgimento ed efficienza dei propri dipendenti rimanendo competitiva sul mercato.
E qual è un modo alternativo ma non meno fruttuoso di investire in formazione se non regalando tempo per dedicarvisi?
Tempo per la formazione
I risultati di una ricerca condotta durante la pandemia da Cornerstone People Research Lab hanno messo in luce che per il 61% dei dipendenti il principale ostacolo percepito rispetto alla possibilità di investire nel proprio sviluppo è proprio la mancanza di tempo.
Quante volte ci siamo detti che ci saremmo dedicati al perfezionamento dell’inglese o delle competenze informatiche nel tempo “libero”?
Se il 27% dei lavoratori italiani pensa che proprio il periodo di pandemia abbia contribuito a rafforzare le proprie abilità, o grazie al maggior tempo a disposizione o per la necessità di riqualificarsi e sopravvivere nel mondo del lavoro, ciò significa che adesso continueranno in misura sempre maggiore a dare priorità alle proprie competenze cercando occasioni per migliorare i propri punti di forza.
Per questo motivo si dovranno fornire ai dipendenti concrete opportunità per agevolarli nella soddisfazione di questa esigenza, adottando politiche ispirate da una visione della formazione intesa non più solo come strumento al servizio della performance in azienda, ma soprattutto come mezzo di emancipazione sociale che consenta a ciascuno di costruire e valorizzare le proprie scelte di vita.
Sara Teoli, Delivery Center Specialist, Mylia