Digitalizzazione dei processi, digital mindset e centralità delle persone

La pandemia ha accelerato la digitalizzazione portando molte imprese a passare dal considerare la digital transformation un nice to have, a ritenerla essenziale per garantire la continuità del business.

Una recente indagine commissionata da McKinsey, “What 800 executives envision for the postpandemic workforce” descrive bene la metamorfosi in atto: l’85% degli intervistati nel sondaggio ha affermato che, per garantire la sicurezza sanitaria, le loro aziende hanno accelerato l’implementazione di soluzioni che consentono l’interazione e la collaborazione dei dipendenti sul piano digitale, a partire dalla videoconferenza e dalle piattaforme di file sharing. Circa la metà degli intervistati ha riferito di aver aumentato la digitalizzazione dei canali dedicati ai clienti, per esempio tramite e-commerce, app mobili o chatbot. Circa il 35% ha potenziato le proprie catene di approvvigionamento, per esempio connettendo i propri fornitori a piattaforme digitali per la gestione della supply chain. Interazione, collaborazione, connessione online: sono queste parole l’essenza di ciò che implica la digitalizzazione aziendale.

A prescindere dalle dimensioni dell’organizzazione e dal settore in cui opera, la digitalizzazione aziendale non ha solo a che fare con l’introduzione di tecnologie digitali negli uffici e nelle fabbriche, bensì con la volontà di digitalizzare i processi che alimentano il business, affinche l’impresa stessa diventi più resiliente e capace di affrontare anche scenari imprevisti come quello attuale.

Si tratta quindi di una profonda trasformazione culturale e metodologica del modo di lavorare: ottimizzare, semplificare, accelerare e rendere più agili tutte le attività aziendali per accorciare le distanze tra dipendenti e partner, clienti e fornitori, oltre che per individuare nuove opportunità e nuovi modelli di business.

Tra i vantaggi della digitalizzazione, c’è anche la dematerializzazione dei luoghi fisici e la possibilità di pensare un unico ambiente lavorativo (non più legato al solo contesto fisico dell’ufficio) fruibile a distanza, al fine di trasformare i processi dell’azienda per renderla cliente-centrica, collaborativa, multicanale, flessibile, trasparente, aperta alla sperimentazione e basata su dati condivisi.

Gli attori della trasformazione digitale: le persone

Oggi abbiamo a disposizione tutte le tecnologie possibili, per svolgere le nostre mansioni quotidiane in azienda. Ma la tecnologia è inutilizzabile senza un elemento fondamentale: la mente umana. La trasformazione digitale richiede una nuova mentalità, non solamente nuove tecnologie. La mentalità digitale (Digital Mindset) non è solamente la capacità di utilizzare la tecnologia. È un insieme di comportamenti e atteggiamenti, è un cambio di abitudini rispetto a quelle possedute in precedenza.

Secondo il Research Analyst di Gartner, tantissime aziende si dimenticano di affrontare questo cambiamento culturale indispensabile per modificare la mentalità dei propri lavoratori.

“La cultura e la tecnologia richiedono uguale attenzione da parte dei leader, perché la cultura forma la spina dorsale di tutte le iniziative di cambiamento per la trasformazione digitale del business”.

Sono le persone che per prime devono credere nella rivoluzione digitale, devono studiare per rendersi competenti e devono cambiare il proprio modo di pensare e di approcciarsi al lavoro.

Cultura digitale: il ruolo strategico dell’HR

Preso atto che la digitalizzazione passa attraverso la costruzione di una nuova cultura digitale e la cultura coincide con le persone, la Direzione HR assume un ruolo sempre più strategico in azienda: il suo compito è veicolare i nuovi valori e affiancare i talenti in un percorso di formazione e aggiornamento continuo delle competenze e della mentalità.

Le competenze nel mondo del lavoro sono radicalmente cambiate: mentre un tempo le competenze potevano durare per un’intera carriera, oggi la media è molto più bassa. Secondo una ricerca Deloitte del 2018, la durata di una competenza nel mondo del lavoro è passata dai 30 anni a 6 anni.

Alla Direzione HR spetta il compito strategico di organizzare programmi di apprendimento e aggiornamento continui. Percorsi formativi che non vertono solo sul “come si fa” delle tecnologie, ma includono anche le soft skill, protagoniste indiscusse della capacità di trasformazione. Dal nostro Osservatorio Mylia, notiamo che in un’economia globalizzata e in un mercato del lavoro competitivo, le soft skills rappresentano un fattore di differenziazione e successo sia per le aziende che per le persone. Pensiero critico e flessibilità, intelligenza emotiva ed empatia, capacità di comunicare, relazionarsi, lavorare in team, negoziare, guidare e sponsorizzare il cambiamento sono le competenze trasversali più importanti per stimolare la trasformazione culturale.

La naturale resistenza al cambiamento è il primo ostacolo da vincere per diffondere la cultura digitale.

La risposta, come la nostra esperienza di Osservatorio ci porta a dire, è il lavoro sui singoli e questo include trovare uno sponsor della nuova cultura che sappia “contagiare” i colleghi. O un manager capace di trascinare. Per questo sono così importanti anche i corsi di aggiornamento sulla leadership nel mondo digitale e nel contesto del lavoro agile.

Un altro elemento che l’HR dovrà considerare è la comunicazione interna. “Raccontare” il nuovo modo di fare, scegliendo i “narratori” più rappresentativi e credibili e gli strumenti più efficaci: blog post, applicazioni social, videoclip, meeting informali, eventi, ecc.

In sintesi, le  sfide dell’HR nel futuro della digital transformation, sono dunque:

  • attirare talenti e selezionare chi ha le competenze tecniche utili nell’immediato, pensando a un rapporto di lavoro a breve termine;
  • selezionare persone che abbiano il giusto mindset per imparare nel tempo nuove skills e nuovi lavori, cercando persone flessibili e con alta capacità di apprendimento e adattamento;
  • creazione di programmi di formazione continua sia sulle hard (digital skills), che sulle soft skills in ottica di reskilling e upskilling;
  • investire sulla formazione continua delle persone e dei manager, come sulla collaborazione tra colleghi (reverse mentoring);
  • creare gruppi di lavoro trasversali a più team, più funzioni, e fare in modo che le persone (manager e collaboratori) possano parlare e scambiarsi esperienze e soluzioni.

Viviana Cassani, Learning Advisor, Mylia

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