Questa intervista nasce dall’apprezzamento profondo verso la capacità generativa che scaturisce dal mettere insieme esperienze, vissuti e pensieri che arrivano da mondi apparentemente distanti ma che in realtà trovano confini fertili e penetrabili, ideali per dar vita ad un’ibridazione valoriale.
Francesca Delogu, giornalista e musicista globetrotter, ha la capacità di fare proprio questo, attingere dai suoi diversi mondi creativi restituendoci, attraverso le parole, un nuovo modo di vedere e riconsiderare la vita personale e lavorativa. Il suo libro ‘Il mio analista è un basso elettrico’ sarà il punto di partenza della nostra chiacchierata su alcuni importanti temi del mondo del lavoro che Francesca ci aiuterà a leggere attraverso riflessioni, similitudini e metafore scaturite dal rapporto con quelli che lei definisce i suoi compagni di giochi e sofferenza: il pianoforte, il basso elettrico e la tromba.
- Francesca, in che modo il Pianoforte, ‘Maestro di vita severo’, può allenarci ad entrare in sintonia con noi stessi e a saper interpretare la complessità di quello spartito di vita personale e professionale? Su cosa oggi le Organizzazioni dovrebbero puntare per far sì che le persone possano esprimersi al meglio e stare bene all’interno del proprio contesto lavorativo?
‘L’orchestra per me è esattamente la metafora dell’organizzazione nell’ambito del sistema aziendale’ ed il pianoforte ne rappresenta in parte la complessità. Tra gli strumenti è quello che nel mio immaginario è legato alla ‘sindrome dell’impostore’, a quella sensazione che ci fa sentire al di sotto delle situazioni che stiamo affrontando e che innesca quel meccanismo di auto sabotaggio, anche quando abbiamo fatto un buon lavoro. È anche quello strumento che ti fa sentire in colpa quando prendi del tempo per te e lo lasci da parte e questo somiglia molto alla sensazione che a volte abbiamo quando stiamo lavorando e torna a farsi vivo quel giudice interiore che ci dice che non stiamo facendo abbastanza. In questo però ci fa anche da maestro, ci insegna che siamo noi a dover imparare a gestirci e a gestire il nostro tempo.
Oggi si parla tanto di balance tra vita privata e lavorativa e di nuove generazioni non più disposte a rinunciare ad aspetti importanti della loro vita, questo perché i giovani vivono l’attimo, non vedono il futuro perché non c’è un futuro chiaro all’orizzonte, tutto cambia così rapidamente che fanno fatica ad immaginarlo così come facevamo noi, o pensavamo di poterlo fare. In cambio però riescono, probabilmente, ad abbassare quella voce interiore che invece noi, soprattutto nella mia generazione, sentivamo come altisonante e che ci spingeva a tutti i costi al raggiungimento di un obiettivo, anche se questo comportava grandi sacrifici.
Il pianoforte aiuta ad utilizzare contemporaneamente corpo e testa, rappresenta un sistema organizzativo complesso con tanti livelli di difficoltà ma, come la musica, insegna che: ‘Per suonare bene devi suonare quando stai bene’. Nell’ambito lavorativo vige la stessa regola, riusciamo a lavorare bene nel momento in cui siamo sintonizzati rispetto a quello che stiamo facendo. La pandemia ci ha fatto capire inoltre che in questo momento diventa fondamentale la capacità di adattamento. L’improvvisazione con il piano è molto difficile, così come lo è all’interno di molte organizzazioni, ma occorre provarci, concedersi delle variazioni di programma. C’è bisogno di strutture organizzative con dei margini jazz, all’interno dei quali trovare momenti in cui le persone possano improvvisare, altrimenti dentro quella geometria troppo fissa e ingessata non riusciranno a trovare benessere.
- Francesca, quale insegnamento potremmo trarre dal Basso e traferirlo nel nostro modo di lavorare, soprattutto all’interno di quelle situazioni che richiedono un forte gioco di squadra?
“Il basso è la perfetta metafora del lavoro in team. È uno strumento che non puoi suonare da solo e lo capisci subito, in due secondi suoni una canzone e improvvisamente dici: ‘No, voglio trovarmi una band!”
Quando suoni in una band, così come quando lavori all’interno di un team, impari sin da subito che l’ascolto è fondamentale ed in più capisci che è anche bello sbagliare. Una cosa che il Basso ti insegna è che quando tu sbagli capisci che comunque sbagliano anche gli altri e tu, come bassista, la vivi meglio perché non sei il frontman, e quindi ti senti meno esposto. Il bassista è il perfetto Team Player, essenziale nella struttura di una band ma senza la responsabilità di essere il frontman e questo lo porta a giocare meglio in team. Il consiglio in queste circostanze è quello di spogliarsi della giacca legata al proprio ruolo e dell’ego e provare a fidarsi del team. Quando stai suonando se qualcuno ti fa un appunto tu sai che non è rivolto a te ma che è a servizio dell’idea, non ti senti giudicato perché il fine è comune, mentre questo a lavoro è più difficile, ci si sente subito accusati; il vero salto lo facciamo quando diventiamo bassisti, quando ci spogliamo dell’ego e siamo tutti lì a suonare insieme.
- Può sembrare un paradosso ma non lo è: come leggerezza e sensibilità diventano note distintive dell’approccio di un Trombettista così come di un Leader di successo?
‘La tromba è lo strumento che ti insegna innanzitutto ad apprezzare la bellezza della lentezza.’ Un leader deve avere sì quell’istinto rapace, informato, ma deve anche andare in profondità e questo, purtroppo, spesso manca. Siamo in questa curva di accelerazione perenne, dopo la pandemia ci sembra di essere tornati indietro, di dover recuperare tempo e quindi non andiamo in profondità, non capiamo che invece ogni cosa ha bisogno dei giusti tempi. La tromba insegna anche un’altra arte della vita, secondo me essenziale, quella del ‘Less is more’. Quando suoni la tromba, all’inizio tenti di fare più note mentre quando diventi adulto, come musicista e quindi anche come essere umano, non ti interessa suonare tante note per fare casino ma ti interessa andare in profondità, suonare le note con la tua voce, con la tua identità, trovando la tua cifra distintiva. Per concludere, un leader unisce tutte le caratteristiche dei tre strumenti, deve saper improvvisare e quindi adattare, gestire la complessità, avere la pazienza di aspettare e quando qualcosa non va non irrigidirsi ma andare in profondità e concedere il giusto tempo.