Considerazioni sul processo di onboarding in azienda tra valori, tempi che cambiano e cultura organizzativa
Intervista a Roberta Zantedeschi, Recruiter advisor, formatrice e consulente in ambito HR con focus su comunicazione efficace e scrittura professionale
Partiamo dall’ “inizio”: cosa si intende per Onboarding e quali sono i suoi principali obiettivi?
Per onboarding si intende il processo di inserimento in azienda di una persona neo assunta. È un processo che prevede più attività e iniziative volte ad accompagnare la nuova persona all’interno del contesto relazionale, operativo e normativo. Un’evoluzione strutturata del classico benvenuto in azienda con consegna del pc, assegnazione di una scrivania e l’indicazione di dove sono i bagni.
Serve a fare 4 cose:
- integrare la persona nel nuovo contesto e nella comunità aziendale, favorendo gli incontri e le conoscenze con le persone che sono già in azienda
- informarla: ovvero fornirle tutte quelle informazioni utili e necessarie ad avviare la collaborazione
- coinvolgere attraverso la condivisione dei valori e del purpose aziendale
- formare, ovvero allineare le competenze, hard e soft, al ruolo da ricoprire e al contesto da vivere
Ci sveli la ricetta per un buon processo di Onboarding?
Non posso, non esistono ricette, solo presupposti. I presupposti riguardano la cultura e i valori aziendali: se l’azienda ha una cultura e un sistema valoriale solidi, che vanno oltre il business e valorizzano le persone e il senso di comunità, anche l’onboarding più semplice risulterà autentico ed efficace. O meglio: l’azienda riuscirà a offrire un’esperienza significativa e capace di consolidare il legame tra persona e azienda, anche senza dover fare i salti mortali o investimenti eccessivi.
Diversamente le falle saranno evidenti già nei primi giorni di lavoro della nuova persona. Ovviamente poi contano la cura, i dettagli che fanno la differenza, l’attenzione affinché nell’onboarding sia dato spazio alla socialità e al dialogo, i feedback e la trasparenza.
Il fattore tempo è spesso un aspetto controverso nel processo di onboarding; quando inizia il processo di onboarding? Soprattutto, è corretto non parlare più di un unico momento di onboarding lungo il ciclo di vita del collaboratore?
L’onboarding inizia non appena, ancora in fase di selezione, l’azienda (e chi fa recruiting per essa) si accorge di aver di fronte una persona che vorrebbe portare in squadra. Dalla firma della promessa di assunzione al primo giorno di effettivo lavoro in azienda, inoltre, dovrebbe attivare il pre-boarding, ovvero una serie di attenzioni che fanno sentire la nuova persona attesa (non pressata, sia chiaro, ma aspettata). Il pre-boarding è importantissimo perché in quel lasso di tempo le persone sono svincolate da un contratto e facilmente potrebbero cambiare idea o essere preda di qualche competitor: mantenere e coltivare il rapporto anche in quel lasso di tempo è strategico. Durante la collaborazione della persona in azienda potrebbero rendersi necessari più onboarding: in vista di un cambio di ruolo, di funzione, di stabilimento o di country. Ma anche dopo una maternità o paternità, successivamente a eventi personali di una certa rilevanza: problemi di salute, lutto ecc… Dobbiamo pensare all’onboarding quindi, come a un processo che si può ripetere nel corso della collaborazione.
C’è un’affermazione che ci ha molto colpiti, rispetto alla quale ci piacerebbe fare un affondo: ‘L’onboarding è una promessa mantenuta! nasce come conseguenza di ciò che hai già promesso in fase di attraction e di assunzione’
Sono tantissime le aziende che hanno capito l’importanza di fare employer branding, comunicano il loro valore e i loro valori in quanto datori di lavoro e così facendo promettono a chi deciderà di lavorare con loro un certo tipo di employee experience. L’onboarding è il primissimo momento in cui quelle promesse hanno la possibilità di trasformarsi in realtà (o venire smentite da un’accoglienza poco coerente con le aspettative create). In questo senso l’onboarding dovrebbe rappresentare una promessa mantenuta.
Noi di Mylia siamo dei grandi fan della cultura del feedback, ci confermi la sua rilevanza ed il suo valore anche nel processo di onboarding?
Più feedback per tutti, senza ombra di dubbio anche nel processo di onboarding il feedback è importantissimo: per costruire una relazione, per raccogliere informazioni (anche rispetto al processo di recruiting e alla candidate experience), per consentire alla persona di esprimere il proprio punto di vista e il suo sentire, per costruire da subito un rapporto basato sullo scambio e la trasparenza.
Comunicare il processo di onboarding: come possiamo alimentare il nostro employer branding?
In diversi modi: possiamo invitare la persona neo assunta a comunicare il suo ingresso in azienda con un post su LinkedIn (e la pagina aziendale ne farà uno di proprio), possiamo creare delle rubriche sulla vita aziendale e dedicarne una all’onboarding, sfruttando dove possibile l’employee advocacy e quindi la voce delle persone dell’azienda. In generale possiamo usare i social come cassa di risonanza non per auto-promuoverci ma per condividere idee, iniziative e contenuti di valore, utili a chi ci legge. Condividere le nostre prassi di onboarding, anche solo testimoniarle può essere un’ottima idea.