L’ingaggio dei collaboratori è fondamentale. Lo sappiamo tutti da tempo: risorse ingaggiate performano meglio, rimangono nelle organizzazioni più a lungo e si stressano meno.
Perché allora sembra essere così difficile da mettere a terra?
Come Mylia spesso le aziende ci coinvolgono in progetti che trattano il tema e molteplici sono gli interrogativi che ci poniamo: come “progettare” e implementare una cultura aziendale ingaggiante? Quali azioni pratiche possono portare avanti quotidianamente i Manager per lavorare in questa direzione?
Solo lo scorso anno sono stati pubblicati oltre 1500 articoli accademici sull’ engagement (Fonte HBR): questo ci fa riflettere su quanto il tema sia dibattuto e, probabilmente, lontano da soluzioni univoche.
Engagement: cosa ci dicono le ricerche
Gallup nel suo annuale State of the Global Workplace: 2021 Report ci dice che l’Europa Occidentale è l’area con la più bassa percentuale di “engaged employees” a livello mondiale: solo l’11% si dichiara engaged. Questa percentuale è a nostro avviso preoccupante e riporta al centro del dibattito il tema dell’ingaggio delle persone, della cura dei loro bisogni e aspettative in un periodo storico unico.
Ci ha particolarmente colpito, per capacità di sintesi e di concretezza, l’articolo di Harward Business Review “How Companies Can Improve Employee Engagement Right Now” di D. Stein, N. Hobson, J. Jachimowicz, e A. Whillans.
Gli autori hanno stilato una rapida check list mixando diverse fonti: sono partiti dai 20 engagement drivers presenti in letteratura rivedendoli alla luce delle ultime ricerche che esplorano cosa rende davvero ingaggiate le risorse nell’epoca post covid. Non solo: hanno comparato i risultati con dati riguardanti i manager e le loro credenze in fatto di ingaggio e con un’analisi somministrata direttamente a 395 professionals americani.
I risultati sono stati condensati in una serie di “raccomandazioni” evidence-based ad uso delle aziende, che si posizionano su 3 macroaree:
VALORI, BENESSERE e TEMPO.
VALORI: trovare connessioni tra i valori dei collaboratori e il loro ruolo in azienda
La prima area è quella della sfera valoriale: D. Stein, N. Hobson, J. Jachimowicz, e A. Whillans ci dicono che è fondamentale che la mission dell’azienda fitti con i valori dei lavoratori e che essi vivano una connessione concreta tra ciò che fanno nel day by day con la mission aziendale. Tra le azioni pratiche suggeriscono il Job Crafting: un approccio proattivo al proprio lavoro che le aziende possono promuovere, fornendo agli employee l’apertura e gli strumenti per riprogettare alcuni aspetti del ruolo. Questo permette di modellare la propria attività così da allinearla agli interessi, abilità e bisogni del singolo. Piccoli cambiamenti ma decisivi in termini di motivazione e di ingaggio.
Un secondo suggerimento consiste nell’attivazione di ERGs – Employee Resource Groups: gruppi volontari gestiti direttamente dagli employee la cui principale finalità è quella di promuovere un ambiente di lavoro inclusivo e supportivo. Di solito sono gruppi che condividono una caratteristica, che si tratti di genere, stile di vita o interesse. Essi forniscono supporto e aiuto nello sviluppo personale e di carriera e contribuiscono a creare uno spazio sicuro in cui i dipendenti possano aprirsi e mettersi in gioco.
Si tratta di due pratiche ancora non molto diffuse in Italia, almeno in maniera formale, ma che possono, a nostro avviso, fornire spunti concreti.
BENESSERE: rendere il lavoro stesso meno stressante e più gradevole
In questa area gli autori suggeriscono diverse linee di azione che possiamo riassumere in:
1. Varietà offrendo ai collaboratori l’opportunità di diversificare i task in modo da testare nuovi interessi. Sono da considerarsi molto efficaci in questo ambito i Programmi di Job Rotation, a patto che siano realizzati in un periodo di tempo relativamente breve.
2. Autonomia instaurando un rapporto trasparente e una cultura aziendale basata sugli obiettivi più che sul controllo. Il caso Netflix ne è l’esempio più eclatante: le risorse lavorano in un ambiente “no rules” con un altissimo livello di libertà e di responsabilizzazione.
3. Self Confidence alimentando consapevolezza di ruolo e fiducia in sé stessi attraverso, ad esempio, dei Programmi di Mentorship ben strutturati.
TEMPO: liberare tempo creando spazi off per i propri collaboratori.
Quest’ultima area riporta il focus su una delle risorse più scarse: il tempo libero.
Ricompensare gli employee con il tempo è una pratica a cui spesso non si pensa. Ore extra di permesso (on top agli incentivi monetari) rappresentano una modalità che ingaggia notevolmente le persone.
Lo stesso vale per tutte quelle azioni finalizzate a creare una cultura che limiti le attività fuori dall’orario di lavoro: un esempio concreto potrebbe essere quello di implementare strumenti che scoraggino l’invio di mail fuori degli orari di lavoro.
O ancora, si suggeriscono azioni mirate a supportare i collaboratori con servizi time-saving: dal classico concierge in azienda alla possibilità di portare a casa pasti pronti etc.
Cosa possiamo fare nelle nostre aziende?
La check list potrebbe non essere esaustiva e, forse, non è completamente praticabile nel mercato del lavoro italiano.
È fondamentale però per le riflessioni che mette in circolo: è auspicabile che le aziende e i loro manager si pongano quotidianamente il quesito e cerchino, combinando teorie, dati e osservazione sul campo, di comprendere a quali leve dare priorità nel proprio contesto lavorativo.
Sara Crimeni, Learning Advisor, Mylia