Intervista a Andrea Moretto,Head of Learning & Development Southern Europe – HILTI Italia spa
Si parla molto di umanizzazione delle organizzazioni. In questo contesto la funzione Learning & Development è quanto di “più umano” possa esserci in un’organizzazione. Andrea, vogliamo conoscere la tua esperienza, la tua vision e il ruolo della funzione e quali sono le sfide del futuro.
Qual è il why del L&D? Qual è la funzione “moderna” che esercita al giorno d’oggi secondo te?
Ci sono “diversi why”: provo a sintetizzarli sulla base del mio vissuto in Hilti. Il nostro scopo è quello di trasformare l’apprendimento teorico in risultati pratici e comportamenti che possano supportare i risultati del business. E’chiaro quindi l’indirizzo del “why” verso il supporto al Business.
C’è poi il tema della prossimità. Come dipartimento dobbiamo garantire una estrema vicinanza agli stakeholder rilevanti, cercando di capire i loro bisogni e generando soluzioni efficaci. Il 2° why è quindi la vicinanza alle persone che fanno business nell’organizzazione.
C’è un 3° why: L&D deve stimolare un mindset di continuos learning. L’ambiente intorno a noi sta cambiando ad una velocità come mai era successo prima e c’è bisogno che tutti, indipendentemente dall’esperienza e dalla età anagrafica, si rimettano in gioco e abbiano sempre un costante aggiornamento. Bisogna quindi creare questo ambiente che possa contenere e accogliere questi stimoli.
Concretamente quali sono i passaggi concreti e necessari per raggiungere questi obiettivi?
Non ho la presunzione di avere la ricetta perfetta. In Hilti siamo fortunati perché L&D è vista come il “trait d’union” tra “chi fa business”e chi si occupa dell’organizzazione. In questo equilibrio, rilevanza e credibilità sono due elementi fondamentali.
La rilevanza si genera attraverso un genuino interesse per le diverse situazioni che le persone devono affrontare. Una forte curiosità che ci porta a sondare proattivamente le circostanze che le persone stanno vivendo. La credibilità, conseguentemente la crei se dimostri di essere competente guidando il tuo interlocutore verso una soluzione: puntiamo ad essere dei consulenti in grado di trovare soluzioni, di dare un contributo a superare gli ostacoli.
Inoltre risulta fondamentale il coinvolgimento della catena aziendale intesa come il link tra noi, il manager ed il partecipante. Ritengo che in un’azienda moderna la scelta formativa non può essere delegata interamente al partecipante, ma deve essere una scelta condivisa con il manager e con L&D. Questa interdipendenza funziona quando siamo in grado di produrre soluzioni on the job. Disegniamo soluzioni con un bilanciamento 70 20 10, dove 70 è la parte pratica dell’apprendimento: un approccio che riconosce l’apprendimento on the job come uno dei pilastri cardine del nostro modello che stiamo costruendo. Un modello che rafforza il link tra rilevanza e credibilità.
Questo rapporto di partnership interna, in questi ultimi anni così difficili, secondo te si è intensificato o si è indebolito?
Le aziende hanno capito che devono avere una funzione L&D dinamica e flessibile perché è un elemento cardine. Per essere rilevanti e credibili come Learning & Development Department dobbiamo essere in grado di saper leggere le situazioni aziendali, che è diverso da capire il singolo stakeholder. Stiamo notando (io e i colleghi da diverse parti del mondo) come negli ultimi anni L&D venga chiamata in causa nelle fasi embrionali ed è seduta nei “tavoli giusti” quando dobbiamo lanciare iniziative strategiche riuscendo da subito ad indirizzare le scelte, i percorsi e i risultati. Questo in precedenza non succedeva. Cosa l’ha determinato? La vicinanza al Top Management, la credibilità che siamo riusciti a crearci e una nuova consapevolezza delle aziende che L&D non è solo un mero esecutore di piani formativi.
Il continuous learning diventa parte integrante dei processi di business.
Per esempio, al giorno d’oggi penso che non ci sia una scarsità di contenuti. Il volume dei contenuti è smisurato. Abbiamo un problema però nella rilevanza degli stessi e penso che uno dei compiti del il mio team sia quello di aiutare le persone ad orientarsi, e riuscire a creare un link fra quelle che sono le skill che deve avere nel proprio ruolo e le attività che deve fare.
C’è poi tema della diversità generazionale all’interno di un’organizzazione. L&D deve creare ingaggio per le diverse generazioni offrendo lo stesso contenuto in diverse modalità, per dare modo alle diverse caratteristiche, ai desiderata delle persone, di venire soddisfatti. Un esempio di successo è la Buddy Partnership tra persone di generazioni diverse che possono supportarsi e completarsi a vicenda attraverso una contaminazione reciproca.
Ad oggi si sta tendendo sempre di più a non considerare generazioni come entità diverse, ma piuttosto come risorse tra di loro assolutamente interdipendenti, una unica visione per poter vincere le sfide. Sfide che sono anche faticose da vincere, anche solo da giocare.
Una domanda: ma quanta fatica ha fatto Andrea Moretto, il suo team, per arrivare a quei tavoli?
La voglia di non essere pigri, di non accontentarsi, di essere curiosi. E’ fondamentale creare un dialogo, ascoltare molto e comprendere le situazioni. Non solo: è fondamentale la capacità di saper dire di no. C’è una tendenza sul fatto di dire che qualsiasi richiesta è lecita e che debba essere soddisfatta. Ma non è così.
Infine spesso la formazione in azienda è associata a un invito mandato da L&D per partecipare ad un corso di formazione. L’azienda in realtà offre tantissime opportunità di apprendimento per le persone, molte on the job. Il mio team ha il compito di supportare le persone a percepire queste iniziative come momenti di apprendimento offrendogli spunti di riflessione, esperienze di scambio.
Siamo giungendo al termine di questa nostra chiacchierata, che abbiamo iniziato parlando di organizzazioni Human Centered. Però abbiamo parlato molto anche tanto di Business. Come bilanciamo questi due approcci?
Nelle aziende non c’è Human senza Company non c’è Company senza Human, quindi direi che questo legame sempre di più deve essere rafforzato.
In questo senso dobbiamo andare oltre il concetto di Human Centered. Quello che per me è importante è creare un ambiente di lavoro dove le persone si sentano realizzate. Se le persone hanno la possibilità di svilupparsi fanno meglio il loro lavoro. Lo fanno con più interesse, lo fanno con più attaccamento. Numerosi studi dimostrano che le aziende che hanno questa attenzione verso le persone sono più profittevoli e più sostenibili e diventano più attrattive nel mercato del lavoro.
Concludiamo questa nostra chiacchierata, ricca di veramente di suggerimenti, di esperienze personali dopo 29 anni in Hilti. Vai per i trent’anni in azienda, quindi una grande esperienza, una grande bandiera, come ne esistono poche. Ecco, cosa consiglieresti, qual è il messaggio in bottiglia che lasceresti a un venticinquenne che entra in azienda, ora, in Hilti e in generale. Un post che gli lasceresti sulla scrivania.
A me non piace dare consigli, però posso provare a trasferirgli cosa mi ha tenuto in questa azienda per trent’anni: un connubio fra scelte aziendali e scelte personali e il fatto di aver lavorato per 10, 12 “Hilti diverse” dove ho avuto l’opportunità di esplorare tante cose. Per prima cosa direi: “Siate disposti ad imparare, mettetevi in gioco, perché niente di più del cambiamento ti può far crescere. Accettare sempre nuove sfide con una focalizzazione nel momento”. Ogni volta che ho accettato un ruolo nuovo non l’ho fatto come mezzo per raggiungere il gradino successivo, ma come momento per raccogliere più che potevo rispetto all’esperienza che stavo facendo. Questo, quasi automaticamente, è stato il trampolino di lancio per il nuovo cambiamento che l’azienda mi ha offerto. Da una parte c’è cambiamento quindi e dall’altra c’è la volontà di esserci nel cambiamento. Prendete il massimo dalle esperienze che state facendo, non siate sempre in un altro posto rispetto a dove la vita vi sta portando. Questo è il mio augurio.