Come NON prendere granchi anche se NON si è pescatori sportivi
Noi tutti siamo abituati ad usare metafore e creare analogie mutuando dal mondo sportivo una serie di espressioni.
Lo facciamo probabilmente senza troppo pensarci e ascoltiamo chi vi faccia riferimento con spontaneità, colti più dall’effetto immediato della rappresentazione che dalla profondità/potenzialità di quel messaggio.
Ci capita quasi quotidianamente in meeting e presentazioni interne: ma quando incontriamo come Mylia imprese e manager, allora in quel caso l’attenzione deve essere particolarmente alta.
In questa sede lo scopo non è lavorare astrattamente all’epistemologia delle metafore nel training a supporto delle trasformazioni; molto pragmaticamente, invece, vogliamo ricavare indicazioni utili quando:
- dobbiamo costruire una presentazione che parli per immagini e vogliamo una narrazione ricca
- abbiamo bisogno di identificare una trasformazione
- vogliamo tradurre valori o competenze accostandoli ad altre situazioni di immediata comprensibilità
- vogliamo costruire modelli per lavorare con gli altri
Prendiamo 3 grandi classici delle metafore sportive tratte dall’atletica leggera: il “passaggio del testimone”, “alzare l’asticella”, “affrontare una maratona”.
Anzitutto, un elemento comune: come per ogni sport, vale sempre il senso della preparazione. Se è vero che in azienda siamo avvezzi a “correre freneticamente”, a non essere quasi mai nelle condizioni ideali per una performance, è altrettanto vero che nello sport è un prerequisito il mettersi nelle migliori condizioni per sostenere una performance.
Quindi:
la primissima indicazione che ci portiamo a casa dall’atletica è che il passaggio del testimone si costruisce, così come si programma l’innalzamento dell’asticella da saltare, si progetta la preparazione di una maratona.
Approfondiamo.
Passare il testimone.
Sappiamo che il testimone è quel bastoncino di circa 30 cm che passa di mano in mano da un atleta al successivo. Il senso comune è relativo a cosa rappresenta quell’oggetto: una pratica che passa da un ufficio ad un altro; un cliente che passa da un account all’altro per motivi di turn over; le fasi di lavorazione di una commessa, ecc.
Ciò che riconosciamo meno, più probabilmente, è cosa sta nella metafora relativa suo passaggio: nell’atletica, in particolar modo nella staffetta 4X100, i frazionisti non sono “uguali”. Chi corre in rettilineo è diverso da chi corre in curva. Addirittura un tempo, quando la preparazione atletica era meno armonica di oggi, i frazionisti di curva tendevano a sovra sviluppare la muscolatura della gamba esterna rispetto alla curva di competenza. E chi corre gli ultimi 100 metri viene scelto in quanto il più veloce dei 4 atleti.
Dunque, prima lesson learned: a seconda della fase di lavorazione, si sceglie il professionista più adatto anche guardando dentro la medesima famiglia professionale (quella dei velocisti). Non guardando solo alla performance assoluta, ma a come questa viene prodotta, nelle minuzie delle qualità del performer. Possiamo parlare tranquillamente di kpi qualitativi.
Secondo dettaglio: il testimone si passa secondo tecniche e regole precise, prassi. Non si sceglie quale mano passa il bastone alla mano successiva: vige la regola – standard di efficientamento – che si parta col testimone in mano destra, per poi trasferirlo nella sinistra del ricevente, da questo alla destra del successivo e poi alla sinistra del 4° frazionista.
Esiste poi un’area della pista dedicata al trasferimento; una zona in cui un atleta sta arrivando in pieno sforzo e velocità, mentre il secondo atleta deve lanciarsi quanto prima in altrettanta velocità. Senza potersi voltare, quest’ultimo attende il segnale di “hop!” da chi lo precede, che sta ad indicare il momento esatto per allungare dietro di sé la mano a palmo aperto per (r)accogliere il testimone.
Cosa implica questa seconda lezione?
In ordine sparso: fiducia, automatismi, allineamento al singolo gesto, rispetto di convenzioni, costruzione di standard per la squadra, precisione.
E’ il momento di alzare l’asticella.
Quante volte ci è capitato di sentirlo?
Il capo che ti guarda e, tra il sornione e lo sfidante, ti lancia un messaggio chiaro. Ma è chiaro davvero?
Il salto in alto a cui facciamo riferimento prevede che avanzino in gara i saltatori che superano altezze standard. Baseline per tutti, predefinite, a scaglioni crescenti di 2-3-5 cm in genere. Accedi alla misura successiva se salti la precedente.
Qui la riflessione è circa la gradualità e la possibilità, sullo stesso obiettivo (l’altezza target), di compiere più tentativi.
Quando lavoriamo attorno all’innalzamento degli obiettivi usando questa metafora, implichiamo che per gradi possiamo crescere, che gli “strappi” – le modifiche repentine dell’altezza limite – non contribuiscono al miglioramento della performance dell’apprendimento.
Se alziamo quando ancora la misura precedente non è scavalcata, mettiamo in difficoltà il performer e non solo lo “sfidiamo”. Il capo – che nella metafora presa per intero diventa il coach – che chiede l’ingaggio sulla sfida, deve sapere che saltare troppo significa saltare male, correndo il rischio di infortunio muscolare o articolare o, peggio, da impatto con l’asticella.
Dal giorno della maratona… a oggi.
In questo caso l’accezione comune della metafora ci porta nel pieno del concetto di programmazione e pianificazione di medio periodo.
Affrontare una maratona non implica possibilità di “resistenza se non a condizione di una preparazione ben pianificata, meglio se fatta a ritroso rispetto alla data della performance:
- affrontando distanze inferiori al target
- affrontandole alternatamente, con passo diverso
- allenando diversi aspetti (andatura, ritmo, strategie, frequenza cardiaca, ecc.)
E prevedendo:
- giornate di recupero (di stop, con o senza attività alternativa alla corsa)
- cura dello stile di vita (ritmo sonno-veglia-allenamenti-alimentazione) per tutto il tempo della preparazione, finalizzata sia alla maratona finale sia alle singole sessioni/periodi di allenamento previsti
E poiché la maratona non è certamente solo “resistere” ma è anche evitare infortuni e l’impossibilità di portare a termine la gara, bisogna darsi modo e tempo di apprendere i segnali che vengono dal proprio organismo e regolare la propria tabella di allenamento nel day by day e durante la stessa sessione di corsa.
Dunque: se in azienda diciamo “affronteremo questa sfida come una maratona ma ce la faremo!”, dobbiamo sottintendere che non avremo solo fattori motivazionali a sostegno ma anche razionali (supporti, strumenti, preparazione professionale adeguata, ecc.).
Stiamo, quindi, davvero sfruttando la potenza delle metafore? Stiamo descrivendo o mistificando una trasformazione? Cosa colgono, clienti o colleghi, quando usiamo qualcosa di così forte, attraente e apparentemente immediato?
Alle vostre slide, o ai vostri dialoghi, l’ardua sentenza.
Pasquale Lovino, Business Scouting Manager, Mylia