L’impatto del fenomeno del “Quiet Quitting” sulla formazione organizzativa

Passata l’ondata di articoli e riflessioni sulla Great resignation eccoci catapultati nell’analisi del nuovo fenomeno del quiet quitting il fenomeno per il quale il “lavorare sì, ma non troppo” sembra prendere sempre più piede; un fenomeno che ancora di più impatta sul tema del come faccio ad attrarre e trattenere le risorse all’interno dell’organizzazione?

All’interno del dibattito al quale stiamo assistendo si leggono diverse opinioni e punti di vista, che mirano a trovare spiegazioni o responsabilità chiare e puntuali, quando- dal mio punto di vista- il fenomeno è meno complesso e imprevedibile di quanto si possa pensare.

“Work hard, play hard”

Credo che quello a cui stiamo assistendo sia un fenomeno che mette in crisi anni e anni di modelli di crescita orientati alla crescita pressante verso obiettivi (quasi sempre di breve periodo!) da raggiungere ad ogni costo o ad ogni prezzo.

Anni durante i quali il messaggio: “lavora duro fai tanti sacrifici e sarai ricompensato” hanno fatto da padrone, insieme a scopi lavorativi che troppo spesso sono sati trasformati in scopi di vita.

In questi stessi anni però, abbiamo contemporaneamente assistito ad un bombardamento di messaggi manageriali esclusivamente focalizzati su modelli di leadership sempre più evocativi e ispirazionali. Purpose, Mission e valori che sono sempre più stati centrali nei vari storytelling comunicativi, creando una spirale di contraddizione tra messaggi esterni e realtà interna che è esplosa alla prima occasione.

La pandemia ha di fatto evidenziato quanto si fosse perso di vista cosa realmente stava accadendo dentro le organizzazioni e quanto poco si sia lavorato per essere in grado di rispondere in modo appropriato ai bisogni reali ed emozionali delle persone, o molto più semplicemente di dialogare con le stesse.

Ecco perché, probabilmente, di fronte ad una situazione nelle quale la sicurezza e il benessere sono state in evidente pericolo, le persone hanno puntato a ricercare nelle organizzazioni e quindi anche nelle figure manageriali, supporto piuttosto che “ispirazione”, aiuto nel risolvere i problemi, chiarezza e vicinanza. E laddove questo tipo di risposte non sono state trovate probabilmente le persone hanno deciso di andare via.

È di fronte ai lavori che non fanno crescere, che non offrono autonomia e varietà e a ruoli e a situazioni poco definite che le persone decidono di scappare via, perché in simili situazioni si sperimenta confusione, frustrazione e demotivazione

Probabilmente oggi le organizzazioni più virtuose sono quelle in grado di creare e offrire posti di lavoro in cui le persone possono fare il loro meglio, quelle che lavorano sull’essenzialità rispondendo in modo appropriato alle difficoltà e alla complessità de periodo.

“Personal sense of purpose”

Organizzazioni che siano in gradi di riconoscere che il modo di offrire il proprio meglio sul lavoro, così come la personale motivazione al lavoro, cambiano nel corso dell’esperienza lavorativa. Ecco perché è fondamentale fornire strumenti per costruire ruoli e compiti ben definiti, essere chiari sempre su aspettative investendo tempo nello spiegare il senso del lavoro da svolgere ed assicurarsi che le persone abbiano capito cosa sentendosi a proprio agio nel farlo. Tutto ciò rassicura, offre stabilità e garantisce appartenenza.

Ciascun lavoro deve avere il potenziale per essere motivante su base continuativa ecco perché bisogna puntare su confronti continui con le persone, puntando a renderle autenticamente protagoniste del proprio ruolo, chiedendo loro come il proprio lavoro potrebbe essere rielaborato con il trascorrere del tempo ed in funzione di come cambia lo scenario in cui ci si muove. Un lavoro costante di supporto rispetto alla definizione chiara di obiettivi e aspettative e alla modalità attraverso le quali raggiungerli.

In questo scenario probabilmente, la formazione organizzativa ha di fronte a sé una sfida importante. Avrà infatti il compito di provare a ridisegnare modelli e messaggi, cercando di creare un ponte tra tutte le varie istanze organizzative, puntando a creare contesti più sostenibili ed inclusivi, accompagnando in definitiva verso una nuova riflessione sul significato del lavoro.

Nina Barreca, Product Manager, Mylia

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