Quali strumenti consentono a un’azienda di essere competitiva in un contesto in cui sempre più imprese assumono un approccio pro-attivo all’internazionalizzazione?

Gli stranieri residenti in Italia sono aumentati fortemente nel primo decennio del XXI secolo: nel 2002 erano 1,34 milioni (2,4% della popolazione) mentre negli ultimi 8 anni attorno a 5 milioni (8,5% della popolazione). Secondo il rapporto sull’economia dell’immigrazione 2021 della Fondazione Leone Moressa il Valore aggiunto prodotto dagli occupati stranieri nel 2020 è pari a 134,4 miliardi di euro, il 9% del PIL italiano.

L’aumento dei flussi migratori ha dato accesso ad un numero importante di lavoratori/trici stranieri/e che portano non soltanto differenze di etnia o di lingua, ma anche di orizzonti normativi, modalità relazionali, stili di vita, valori, approcci, idee e visioni.

Diventa sempre più importante nei contesti sociali e organizzativi sviluppare ed allenare un inclusive mindset che sappia riconoscere e valorizzare le diversità partendo dalla consapevolezza che ogni persona utilizza bias (le distorsioni cognitive) per interpretare e semplificare la realtà. Essere consapevoli dell’influenza del proprio punto di vista nella percezione delle altre culture presuppone un confronto, un dialogo continuo per creare un ponte verso l’inclusione e il riconoscimento reciproco.

Nei contesti organizzativi è fondamentale passare dall’approccio multiculturale (la convivenza di più gruppi culturali e/o etnici che si tollerano) a quello interculturale (dialogo, confronto, nuove ibridazioni, soluzioni partecipate) sviluppando la competenza interculturale che permette di spostare quindi la propria visione da etnocentrica ad etnorelativa.

Come si sviluppa la competenza interculturale?

La competenza interculturale è proprio quella dimensione composita che include la capacità di comunicare, di pensare e di comportarsi in modo efficace e appropriato durante un incontro con un’altra cultura.

Basandosi sulle teorie di Deardorff, per sviluppare la competenza interculturale nei contesti organizzativi è necessario creare percorsi formativi e di sensibilizzazione considerando alcuni fattori di base come: le attitudini (rispetto, curiosità, apertura mentale), le conoscenze (autoconsapevolezza, consapevolezza sociolinguistica, informazioni culturali specifiche) e le abilità (il pensiero critico).

Mobilitate e armonizzate assieme, queste componenti dovrebbero produrre degli effetti interni (ad esempio sviluppo di flessibilità, capacità di adattamento, visione relativa ed empatia) e degli effetti esterni: la capacità di comunicare in modo appropriato ed efficace con persone con background culturali diversi.

Progettare quindi un percorso di intercultural diversity management significa prendere in considerazione tutte le variabili della competenza interculturale. Non solo, ma seguendo una delle massime esperte su questo tema, Erin Meyer dell’INSEAD, un buon punto di partenza per leggere le differenze culturali e implementare le performance può essere quello di mappare le culture sulla base di otto scale che rappresentano un’area chiave di consapevolezza rispetto ad un estremo e il suo opposto

  1. Comunicazione: a basso contesto versus ad alto contesto
  2. Valutazione: feedback negativo diretto versus feedback negativo indiretto
  3. Persuasione: basata su principi teorici versus basata su dati empirici
  4. Leadership: egualitaria versus gerarchica
  5. Decisioni: consensuali versus top down
  6. Fiducia: incentrata sui compiti versus incentrata sulle relazioni
  7. Disaccordo: conflittuale versus evita il confronto serrato
  8. Programmazione: con tempo lineare versus con tempo flessibile

Per fare un esempio concreto, in base agli studi già svolti potrà emergere che le persone di origine asiatica sono a disagio con un feedback negativo diretto e il disaccordo aperto, mentre in Israele, Russia, Paesi Bassi e Francia le persone possono esprimersi fornendo feedback negativi molto diretti e negativi. In Italia, che si colloca a metà della scala, il feedback negativo viene espresso in maniera indiretta con l’utilizzo di messaggi positivi per ammantare quelli negativi.

Ovviamente non si tratta di verità assolute, ma di un inizio per comprendere le diversità culturali ed allenare la competenza interculturale.

I benefici dell’intercultural diversity management e dell’inclusione di persone con background migratorio sono poi ormai evidenti dalle ricerche di Mckinsey Institute, Boston Consulting e di numerosi progetti europei: generano un miglioramento del clima aziendale attraverso il coinvolgimento e la motivazione per i dipendenti, aumentano la produttività e dell’innovazione (anche rispetto al marketing strategico) e sicuramente rappresentano una leva reputazionale per il posizionamento del brand.

Monia Dardi, Organizational Consultant Diversity Equity & Inclusion, Mylia

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