La centralità dell’equilibrio tra continuità e cambiamento al centro dei processi di trasformazione di successo

Le recenti discussioni sul tema dell’attraction o delle grandi dimissioni ancora una volta ci spingono a riflettere su quanto fondamentale sia per un’organizzazione, un processo di analisi e di consapevolezza rispetto alla propria identità culturale.  Un parametro che, troppo spesso, viene sottovalutato, ma che gioca un ruolo centrale nella Organizational life cycle.

Se ci pensiamo, infatti, tutte le aziende e tutte le azioni principali di un’organizzazione ruotano intorno al proprio codice culturale: pensiamo ai processi di selezione, di valutazione piuttosto che ai momenti di formazione. Lo abbiamo visto tantissimo in questi ultimi anni in cui tutte le organizzazioni hanno dovuto fare i conti con processi di trasformazione molto veloci ed impattanti, che non sempre si sono tradotti in un successo.

La maggior parte di queste iniziative si sono focalizzate sull’ esigenza di realizzare un processo di cambiamento veloce, spesso realizzato attraverso iniziative molti simili seppur in diversi contesti, ma che raramente hanno tenuto conto dell’identità culturale che caratterizzava l’organizzazione per la quale dovevano essere implementati.

Parola d’ordine: coerenza

Nella realtà invece, sappiamo che ogni azione di cambiamento che non tiene in debito conto gli aspetti di continuità, di coerenza, di legame con quella che è la storia dell’organizzazione e delle persone che la compongono, rischiano di rivelarsi un’enorme flop. Mentre trovare il giusto equilibrio tra continuità e cambiamento può aiutare i leader a gestire meglio le trasformazioni culturali che si stanno verificando.

Sentiamo ripetere spesso che la componente più rilevante che la trasformazione digitale alla quale stiamo assistendo si porta dietro, è il cambiamento culturale che la accompagna. Ma se è realmente così è fondamentale che le organizzazioni e i manager, imparino ad impostare processi di trasformazione che tengano conto da un lato, della necessaria apertura al cambiamento, ma che dall’altro non perdano di vista gli aspetti esistenti nella cultura organizzativa attuale, quelli che non possono e non devono cambiare perché ne garantiscono l’identità, il riconoscimento e la stabilità. Interrogarsi su quanto si è disponibili ad investire su organizzazione condivisa e chiarezza, a scapito di strutture rigide e gerarchiche; valutare quanto è pensabile mettere al centro le persone e le loro relazioni abbattendo barriere (non solo fisiche), ma nello stesso tempo investire nel riconoscere ed esplicitare le proprie peculiarità, le proprie credenze, i propri rituali, quelli che danno forma all’organizzazione e che ne rappresentano l’essenza.

Se è vero che siamo costantemente bombardati da messaggi quali: “è fondamentale che i dipendenti si sentano psicologicamente sicuri all’interno della propria organizzazione” è altrettanto vero che dobbiamo insegnare alle organizzazioni ad essere coerenti e rassicuranti rispetto alle promesse che fanno alle persone.

E questa coerenza passa attraverso la consapevolezza rispetto a quanto l’organizzazione sia disposta a cambiare durante una trasformazione, ma anche soprattutto, rispetto a cosa questa trasformazione non potrà attuarsi. Questo è fondamentale per essere obiettivi e realistici rispetto alle aspettative che vengono poi proiettate sulle singole persone, ritenendole quasi le esclusive responsabili dei processi di trasformazione.

E se è vero, come emerso in una ricerca dell’MIT, che la cultura tossica è una delle cause principali cause dei casi di abbandono aziendale ai quali stiamo assistendo, e che la cultura aziendale sia un predittore molto affidabile rispetto ai livelli di benessere interni, è molto probabile che su questi temi si giocheranno le prossime sfide sulle quali le organizzazioni e i leader dovranno concentrarsi nel breve periodo, sempre di più.

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