Le nuove leadership tra cura e apocalisse

Gli eventi dell’ultimi tempi, dalla Pandemia alle gravissime tensioni geopolitiche internazionali, che stiamo tuttora vivendo, stanno generando un enorme cambio tematico nel nostro immaginario collettivo rispetto alla leadership. Siamo nel bel mezzo di un cambio di paradigma o fine di un mondo, dove si confrontano e – purtroppo scontrano – due modelli antitetici dell’essere capo. Da una parte l’uomo o la donna forte, che deve intervenire, controllare, avere tutto il potere su di sé; dall’altra l’uomo o la donna, che incarnano un ethos ispiratore, leader carichi di emozioni, passioni, storie di vita che portano un punto di vista esistenziale nuovo e agiscano per avere un impatto positivo nel mondo nell’era dei cambiamenti radicali e catastrofici.

Il cambiamento radicale e la nuova leadership

Quante volte ci siamo sentiti raccontare che il cambiamento continuo è costitutivo della vita aziendale? Certo. Ma ultimamente, abbiamo a che fare con un nuovo tipo di cambiamento, che possiamo definire radicale.

Il cambiamento radicale, che stiamo sperimentando, è per sua natura:

  • irreversibile: quando accade non si torna indietro, trasforma per sempre lo stato delle cose;
  • inspiegabile: non si può prevedere, ha sempre un alone di “mistero” e richiede un’opera di sense-making e di narrazione mirata per poterlo gestire;
  • incidente: quando accade, incide – nell’accezione letteraria del termine, taglia, spacca, separa, ferisce, e quindi richiede sempre una grande capacità di cura.

Come si affronta di solito il cambiamento radicale? In due modi:

  • con la paranoia e il controllo, tipico delle leadership novecentesche, che devono innestare paura.

Oppure:

  • con un ardente coraggio e una visione d’insieme in cui chi è “a capo” prova ad essere: riflessivo/a oltre che performativo/a, gentile oltre che fermo/a, grato/a oltre che orgoglioso/a, prudente oltre che ardito/a, attento/a alla sfera affettiva oltre che focalizzato/a sugli obiettivi.

Un radicale mutamento che investe il modo in cui “chi è a capo” agisce e si racconta.

Il nuovo racconto del capo nelle “apocalissi culturali”

Il successo, la forza, il divertimento, il viaggio, la performance a tutti i costi? Certo rimarranno nella cultura occidentale dell’ “essere a capo”, ma a questo modello dovremo affiancare più che mai oggi – nella dimensione V.U.C.A. e alle soglie di una possibile Terza Guerra Mondiale (che mette i brividi solo a pensarla) leader che:

  • trovano tempo per pensare, in mezzo alla furia delle scadenze;
  • sappiano essere gentili con le loro persone – sempre più richiedenti nuove visioni e azioni nel mondo;
  • siano reciproci e sostenibili nei diritti e doveri;
  • possano elaborare il dolore della perdita ed abbiano cura dell’ambiente e delle persone, sviluppando politiche di wellbeing
  • abbiamo la prudenza di non entrare in conflitto, là dove gli estremi negoziati porterebbero a estreme conseguenze.

Abbiamo quindi bisogno di capi che sappiano vivere e attraversare le Apocalissi. Uso qui il termine “Apocalisse” non in una accezione religiosa ma prettamente sociologica, come la usava Ernesto De Martino a metà del Novecento quando affermava che in particolari momenti della storia umana si attraversano apocalissi culturali ovvero cambiamenti radicali che sono transizioni di stato, come quelle di cui stiamo parlando e che non hanno bisogno di paranoia aggressiva, ma di persone e ambienti (sociali e professionali) colmi di visione e speranza; una capacità attiva e narrativa – che dovrà essere sempre più sviluppata – non solo per creare ed esplorare nuovi mondi, ma anche per viverli in modo nuovo.

Andrea Fontana (Sociologo della comunicazione, Presidente Storyfactory e Docente Corporate Storytelling Università Pavia)

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