Organizzazioni, soggettività e convivenza: i nuovi legami da coltivare
Oggi nelle aziende c’è bisogno di “ripensare le organizzazioni”, i rapporti, le emozioni, i valori, verificarne l’efficacia, la tenuta, la credibilità. Questi ultimi anni hanno visto la destrutturazione dei tradizionali modi di stare in rapporto, spesso fondati sull’appartenenza scontata, sul mandato sociale dell’azienda e quindi sull’identificazione con la mission, cui si risponde con obbligo e compiacenza. Quali benefici possono trarne le aziende? E le persone? Proviamo ad analizzare il tema in questo articolo.
La vita e la scelta nelle proprie mani
La destrutturazione dei rapporti e i nuovi significati attribuiti al lavoro non sono solo il frutto della pandemia e del “perché le persone sono rimaste a casa”: quel tempo fermo della pandemia ha rimesso la vita e la scelta nelle proprie mani, ha interrogato sul senso e sulle priorità, ha avvicinato i desideri e i progetti individuali, rendendoli possibili nel reale. Le persone, giovani, ma anche con esperienza, sembrano “voler una relazione che li riguardi, che abbia a che fare con il loro desiderio, non solo con il soddisfacimento delle attese altrui”, cui forse deriva anche il mito del successo.
Questo ha svuotato di senso il lavoro scontato, il lavoro a tutti i costi, gli uffici e le organizzazioni date, specialmente nei contesti poco attenti a riconoscere le qualità dei dipendenti, il loro valore. Così si può spiegare anche il fenomeno delle grandi dimissioni e del quiet quitting, che sovvertono l’ordine precostituito rimettendo il potere di scelta in capo ai lavoratori, alle persone (veramente “la persona al centro”). Spesso le persone vanno via in seguito a vissuti di insofferenza lavorativa, esito di dinamiche emotive relazionali fondate su un patto di fedeltà e sullo scambio capitale-lavoro che non tiene più, che non basta.
Tali eventi ci fanno pensare al peso e all’importanza di occuparsi dei vissuti emotivi e dei desideri delle persone in azienda, e delle relazioni tra persone e organizzazioni. Nelle aziende spesso le emozioni non si pensano, si gestiscono, si controllano, si vorrebbero eliminare non considerando come questo generi maggiormente disagio, conflitto e insofferenza lavorativa. Molti problemi di convivenza, molte difficoltà di relazione, molte situazioni di ansietà, di disadattamento sono dovute al conflitto tra una propensione al pensare emozioni e utilizzarle in modo produttivo e l’appartenenza a culture che predicano e impongono insofferenza. Spesso al lavoro il ripiegamento, l’alienazione è piuttosto familiare, il conformismo spinge verso “i soliti rapporti” poco esplorati, dove non si cerca confronto, c’è un appiattimento ad un’obbedienza o polemica sterile verso la gerarchia, i team sono scontati, non c’è “valorizzazione e investimento” verso relazioni significative.
Riorganizzare il patto di fiducia
Eppure, siamo in una nuova fase, stiamo assistendo ad un bilanciamento dei rapporti di potere e ad una dinamica di ricerca di reciprocità, dove non è solo il dipendente che ha bisogno dell’azienda, ma anche l’azienda che dipende dalle persone ed è sollecitata a pensare e riorganizzare il patto di fiducia con loro. Le persone sentono il bisogno di dare senso al tempo, a come spendono il loro tempo. Nella mia esperienza, le aziende chiedono strumenti e competenze, buone orecchie e chiavi interpretative per avvicinare e sondare il tipo di rapporto e affetto che la popolazione aziendale esprime: si parla di employer branding, engagement, retention, benessere organizzativo, il cui scopo è ascoltare le persone, occuparsi delle loro emozioni, chiedere loro cosa migliorare, come trattenersi, individuare uno scopo/purpose comune, co-costruire in un processo bottom up le iniziative che possano migliorare la qualità della vita lavorativa.
In questo senso quello che si chiede a noi designer, psicologi, consulenti dell’organizzazione è di mediare, facilitare, accelerare il confronto e il dialogo in azienda, spesso tra vertici e base, e all’interno delle varie funzioni, andando a mettere luce laddove ci sono conflitti, ripetizioni, sprechi, frustrazioni. Quindi portando anche innovazione sociale, nel modo di stare in rapporto, sviluppando una conoscenza dei colleghi continua e non scontata, riscoprendo “l’altro desiderante”.
La relazione al centro
Oggi la soggettività delle persone sembra avere un maggior peso in azienda, ma anche nella società. Questo sfida a trovare comunque nuovi modi di aggregare le persone e di fare comunità, e essere autentici. Rinnovare i contesti tradizionali, non solo nell’estetica, ma nelle proposte emotive, sociali, “ristrutturando i luoghi comuni”.
Sempre più utilizziamo come Mylia un approccio relazionale che guarda alle dinamiche e che valorizza la partecipazione delle persone. Credo ci sia una domanda di “sviluppo sociale”, in modo non scontato, perché cambiano anche le popolazioni aziendali. Oggi c’è una fetta di giovani non indifferente che popola le organizzazioni, e che portano valori diversi, bisogni diversi, linguaggi diversi. C’è un bisogno di realizzazione maggiore che in passato. Questi aspetti spingono a nuovi modi di relazionarsi e dare senso più centrato sul desiderio, sul confronto, sul posizionamento, sulla scelta. Migliorare la convivenza è ancora una domanda. Coltivare la collaborazione è ancora qualcosa di non scontato che va scoperto, alimentato, valorizzato.
Sabrina Bagnato, Learning Designer, Mylia