Fino a cinque generazioni di lavoratori fianco a fianco nella stessa azienda, ognuna con necessità, priorità e attenzioni diverse, a volte contrastanti. E nuove sfide per chi deve gestire i collaboratori.
Si fa presto a parlare di risorse umane: come se ci si stesse riferendo ad un’unica categoria indistinta, tante persone sì, ma tutte massificate in uno stesso modo di vivere e concepire il lavoro, la mansione, la vita stessa all’interno della azienda.
Bei tempi andati
Certamente tutto era (apparentemente?) più facile ai tempi del taylorismo. Anche all’epoca c’erano più generazioni impegnate a lavorare insieme, ma tutto sembrava esattamente uguale per ognuno che entrava in azienda. Vuoi perché il lavoro non mutava negli anni (o molto lentamente). Vuoi perché la società offriva ad ogni persona miti e modelli universali e richiedeva un’adesione pressocché identica ai valori sui quali essa si fondava. Insomma, il mainstream era piuttosto chiaro e la divergenza da esso altrettanto lampante. Più che altro il discrimine era tra i giovani che non andavano (ancora) a lavorare e coloro che, invece, lavoravano. Tra i lavoratori c’era dunque molta più affinità, anche se appartenevano a generazioni differenti. Come se il lavoro fosse la porta d’accesso ad una maturità che non faceva distinzione di età, perché era esso stesso la pietra angolare tra un prima e un dopo.
Che succede oggi
Come visto prima, la pluralità di generazioni nelle aziende non è una novità! Nel mercato del lavoro oggi convivono quattro generazioni: i cosiddetti Baby Boomer (nati tra il 1946 e il 1960), i Generazione X (nati tra il 1961 e il 1979), i Millennial (nati tra il 1980 e il 1996) e coloro che appartengono alla Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012). Queste generazioni, cresciute in momenti storici e contesti sociali che attraversano quasi un secolo, a cavallo tra la metà del 1900 e gli anni 2000, esprimono in maniera ben più forte ed evidente aspettative, valori, modi di lavorare e stili di apprendimento diversi tra loro, anche se persistono tratti in comune.
L’indagine
Un interessante spunto di riflessione sulle differenze di valori e aspettative tra le varie generazioni viene dall’Harvard Business Review, che ha pubblicato una ricerca in Italia nel 2019, provando a capire cosa sia importante nel lavoro per tre generazioni, quali siano le loro aspettative e quanto esse siano o non siano soddisfatte. Il campione ha interessato 1600 persone (67% uomini), di cui il 61% Gen X, il 30% Millennial e il 9% Baby Boomer [al tempo la Gen Z era ancora praticamente fuori dal mercato del lavoro].
Prima di affrontare le differenze tra le generazioni esaminate, partiamo dagli aspetti che le accomunano, e nello stesso tempo sfatiamo un mito. Work-life Balance, clima e relazione positiva con il proprio capo e il gruppo di lavoro non sono valori solo per i Millennial! Boomer e Gen-X li cercano con altrettanto interesse. Diciamo che probabilmente le generazioni più attempate hanno, per struttura educativa e sociale, maggiore propensione a bilanciare l’eventuale assenza di questi requisiti con altri che invece l’azienda mette a disposizione e a valutare con più attenzione eventuali scelte definitive
Del resto queste generazioni “tengono famiglia”, e sono partecipi del flusso dei doveri sociali. Insomma, se è vero ciò che scrisse Pitigrilli, si nasce incendiari e si muore pompieri…
Millennial
I Millennial oggi hanno tra il 23 e i 39 anni, manifestano una tendenza sul posto di lavoro generalmente individualista e non focalizzata; si caratterizzano per la forte ambizione e libertà da vincoli soprattutto se burocratici o inutilmente gerarchici. Il loro punto di forza è essere multi-tasking e avere spirito critico. Non amano non poter esprimere le proprie idee e le eventuali competenze, rifuggono una leadership “machista”, del capo-leader supremo. Autorità significa autorevolezza e la prima non viene riconosciuta senza la seconda. Nel 2021 rappresentano il 50% della forza lavoro.
Le loro aspettative sul lavoro sono più elevate, rispetto alle altre generazioni, in termini di contratto psicologico. I Millennial sono più esigenti e ottimisti rispetto a ciò che un’azienda può offrire loro, probabilmente a causa di un “effetto generazionale”, stima HBR, piuttosto che alla giovane età o alla mancanza di seniority.
Rispetto alle altre generazioni, i Millennial sono più impazienti e hanno una forte autostima, caratteristiche che li portano, spesso, ad essere insoddisfatti di tempi e modalità di crescita professionale. Per cui risultano disattese le aspettative legate a carriera, formazione, sviluppo, potere e responsabilità. Insomma, per loro i tempi dell’organizzazione non coincidono con l’ambizione, ma anche con le necessità di aggiornamento e di upskilling che il mercato de lavoro richiede a gran voce.
Gen X
I Gen X oggi sono nella fascia tra i 40 e i 58 anni, hanno vissuto l’adolescenza in anni ambigui, caratterizzati da stagnazione economica, aumento del tasso di disoccupazione, crisi politiche varie.
Generalizzando si possono definire equilibrati, informali, divertenti e indipendenti. Il loro punto di forza nel lavoro è l’organizzazione e danno molta importanza al tempo.
Insieme ai Baby boomer, i Gen X sono la generazione più disillusa rispetto a ciò che le organizzazioni possono dare loro. Perché ne hanno già viste tante e più volte ne sono rimasti potenzialmente scottati. Hanno imparato dall’esperienza e dalla vita, sanno che il bianco e il nero lasciano spazio a miriadi di sfumature grigie.
Baby Boomer
Sono la generazione più agée nel mondo del lavoro (e, anzi, parte di essa è già a godersi il meritato riposo), quella degli stacanovisti, del senso del dovere. Fedeli alle aziende, ne hanno cambiate poche in 40 anni di lavoro. Si possono definire idealisti, competitivi e fedeli. Non per questo non sono ambiziosi e, se lo stacanovismo è ciò che li rende più forti sul lavoro, è anche il mezzo per raggiungere il successo e ciò a cui ambiscono.
Quali insegnamenti
Due sono i fronti sui quali i manager e le direzioni HR dovrebbero investire. Da un lato, il potenziamento degli strumenti per la crescita delle competenze e l’aggiornamento continuo, fondamentali per esaudire le aspettative dei Millennial. E poi la de.gerarchizzazione dell’azienda, ovvero l’eliminazione di quelle storture per le quali si ritiene che le competenze si trovino esclusivamente ai piani alti della gerarchia aziendale e che i collaboratori abbiano solo da imparare. Come noi stessi in Mylia abbiamo potuto verificare nell’attività quotidiana presso le aziende, occorre modificare il mindset della leadership, renderla inclusiva, aperta. Occorrono leader che valorizzino le competenze ovunque esse siano, in grado di dare spazio e respiro, di valorizzare chiunque abbia valore da portare.
Dall’altro lato, però, è indispensabile ridisegnare il ruolo e le funzioni “sociali” delle generazioni più anziane al lavoro. I manager di oggi dovranno passare il testimone a quelli di domani. La condivisione delle competenze e delle esperienze è un imperativo categorico del manager di oggi; la cessione del potere, valorizzando l’esperienza e i successi ottenuti, è una delle chiavi di un passaggio generazionale indolore e soddisfacente.
Roberto Pancaldi, Managing Director, Mylia