Intervista a Enrico Martines Direttore Sviluppo e Innovazione Sociale di Hewlett Packard Enterprise
E’ cambiato il tuo lavoro negli ultimi mesi e, se si, come?
Ti confermo che è cambiato: non tanto “nel cosa” ma “nel come”. L’impatto credo sia simile per tutte le realtà: il dover lavorare dietro una telecamera, unico collegamento con l’esterno, ha un duplice impatto: in termini di comunicazione e in termini di organizzazione della giornata lavorativa.
Dal punto di vista della comunicazione la sfida è quella di mettere in atto nuove modalità per essere motivanti, empatici e per tenere alto l’engagement delle persone.
Dal punto di vista dell’organizzazione della giornata, la sfida è quella del rispetto del tempo, sia per gli altri, sia per se stessi. Quando abbiamo iniziato il distanziamento sociale notavo una adrenalina diffusa tra la gente, una voglia di condividere, un entusiasmo che in qualche modo esorcizzava la paura. Di fatto il distanziamento e le conseguenti reazioni emotive ci hanno portato ad una maggiore produttività professionale, con il grosso rischio di sottoporci ad uno stress troppo alto fino al burn-out. E’ stato fondamentale apprendere e supportare le persone nel come trovare un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata, attraverso i giusti tempi di pausa e di stacco. Mettere in agenda un impegno personale ricorrente nella pausa pranzo, è un consiglio pratico che si è rivelato molto utile per garantire il dovuto riposo.
Credo che “il come” sia cambiato in modo definitivo perché, dopo tanti mesi, abbiamo adottato un impianto culturale differente. A livello di interventi formativi, ad esempio, la riprogettazione in moduli molto brevi e digitali è diventato un modello molto apprezzato che probabilmente sarà mantenuto anche nel post pandemia. In sintesi la tecnologia c’era già, mancava la cultura: è arrivata non per apprendimento ma per un evento esterno traumatico. La pandemia ci ha dimostrato che si può fare e che porta anche benefici.
Qual è una domanda che ti stai ponendo da tempo per la quale non trovi una risposta?
Più d’una in realtà. La principale: come trovare delle nuove modalità per essere empatici e tenere alto il coinvolgimento da remoto. Me la pongo perché credo che, finita la pandemia, non finirà il nuovo paradigma di lavoro ibrido. Non ho una risposta completa: sto analizzando e approfondendo i pochi casi studio presenti. Di fatto ci sono solo esperienze a carattere empirico: in questo momento siamo tutti sperimentatori e mi sono fatto l’idea che potremmo prendere qualche spunto dall’intrattenimento.
Se fino a ieri per essere empatici dovevamo utilizzare lo spazio fisico, ed eravamo gli attori di quello spazio, oggi dobbiamo passare dall’essere attori all’essere registi. Bisogna guardare con l’occhio di chi sa comporre una narrazione motivante per gli altri, che vada a mixare diversi strumenti, e utilizzare i tempi tipici dell’intrattenimento.
Qual è la competenza trasversale “più difficile” da allenare e perché?
Non credo che esista una competenza più difficile da allenare di un’altra: dipende dalle attitudini delle persone e dalla loro propensione al cambiamento. C’è anche un tema di esperienze maturate nel corso del proprio percorso lavorativo che potrebbero portare ad una chiusura all’ascolto. Anche il livello di motivazione/demotivazione influisce molto: persone che hanno sviluppato l’impressione che “i giochi siano fatti”, e che il loro potenziale sia già del tutto espresso, sono inevitabilmente chiusi ad uno sviluppo personale.Tuttavia, sono anche più facilmente recuperabili attraverso iniezioni di fiducia e prospettive motivanti, rispetto a chi si chiude all’ascolto arroccato su fattori soggettivi di percezione del se (“vado bene così: perché dovrei cambiare?”). Con le persone che si sono in qualche modo arrese è meno difficile: è importante con loro trovare il fattore motivante, la scintilla che li porti a riscoprire la voglia di allenarsi e di puntare sul proprio sviluppo personale.
Parliamo infine del famigerato ROI delle attività di L&D. Come comprendi di aver raggiunto gli obiettivi prefissati?
Sono stato molto attratto negli anni passati dalle varie teorie del ROI in formazione: alla fine ho abbandonato il tema perché mi sembra di rincorrere una chimera. Io so che una cosa funziona bene quando è semplice: dalla progettazione alla trasmissione della competenza. Quali strumenti funzionano? Dal punto di vista quantitativo il questionario di fine corso rimane uno strumento di misurazione interessante. Dal punto di vista qualitativo dipende dalla tipologia della formazione: sulle competenze trasversali credo molto nell’analisi di clima dove inserire una serie di indici che permettono di valutare anche l’efficacia dell’azione formativa (Employee Engagement index; Net Promoter Score; Inclusion Index). Per la formazione tecnica gli algoritmi possono valutare l’impatto reale. Diverso per le soft skill dove l’impatto si vede su tempi molto lunghi (almeno 18 – 24 mesi): solo la misurazione degli indici nel tempo a mio avviso risulta efficace.