Intervista a Cristina Farè, HR Manager in Richemont Italia Holding.
Come va? Che periodo stai vivendo dal punto di vista lavorativo?
Credo che la parola chiave di questi mesi sia e continui ad essere “opportunità”. Ripenso a molte conversazioni avute nel pieno del primo lockdown, dove mi dicevo e dicevo ai miei interlocutori che in fondo ne avremmo tutti guadagnato in esperienza, che il nuovo che stavamo vivendo rappresentava anche un’opportunità di crescita e di apprendimento.
Per rispondere alla domanda, quindi, sto vivendo un periodo chiave per il mio sviluppo personale e professionale: sento che sto collaborando alla gestione di dinamiche estremamente complesse, sfidanti, prive di un “pre”. Vedo la mia azienda evolvere in ottica di maggior flessibilità e dinamicità, grazie all’acquisizione, sebbene accelerata, di competenze e abilità nuove. Ritengo che esse possano, a tendere, diventare un asset fondamentale per ottenere risultati non solo positivi, ma anche e soprattutto sostenibili.
Cristina cosa rifaresti nel tuo percorso lavorativo?
Forse è la risposta più banale, ma rifarei tutto. Sono arrivata a desiderare di occuparmi di Risorse Umane dopo un percorso non esattamente lineare, costituito da esperienze con pochi elementi in comune: un primo incarico come Psicologa Clinica, una seconda seppur breve esperienza nel campo delle Assicurazioni, un terzo passaggio fondamentale nel Retail. Sono stata fortunata, perché quando ho approcciato prima il Master e poi il mondo Richemont, avevo già una maturità, anagrafica e personale, che mi ha aiutata a fare del mio meglio da subito per crearmi una figura professionale piena.
Negli anni hai percepito di contribuire al cambiamento delle persone? Fammi un esempio.
Per definizione, la mia attività è costituita principalmente da relazioni: l’unico strumento che ho per “misurare” ogni giorno la qualità del lavoro che svolgo è l’analisi dei rapporti che instauro. Ho l’opportunità di confrontarmi con interlocutori molto diversi e uno dei miei challenge professionali principali è quello di cercare sempre lo stile comunicativo e relazionale più efficace.
Non credo quindi che il ruolo di un HR Manager sia quello di contribuire al cambiamento delle persone, bensì quello di promuovere relazioni professionali efficaci e corrette in funzione del cambiamento.
Qualche tempo fa abbiamo inserito un profilo estremamente interessante, in pieno fit con le esigenze del dipartimento di quel momento, soprattutto per alcuni aspetti tecnici e analitici. Molto consapevole delle sue capacità, il collega ha presto cominciato a percepire il valore aggiunto che portava al suo dipartimento, e allo stesso tempo a lamentare una scarsa fluidità interpersonale all’interno del team. Temendo di perdere una risorsa di grande valore per l’Azienda, ho cercato con lui una relazione diretta, finalizzata a capire cosa non stesse funzionando. Abbiamo cominciato a confrontarci con continuità, provando a smussare gli angoli e a valorizzare gli aspetti positivi. Penso di aver svolto con successo il mio lavoro osservando ora il collega on the job, nel pieno del suo percorso di crescita, motivato e completamente integrato.
Quando i percorsi di formazione hanno successo?
Forse è più semplice riflettere sui percorsi di formazione che non hanno successo: se per formazione si intende semplicemente l’erogazione di un training, senza alcun tipo di customizzazione, di analisi del bisogno, di progettualità, allora con ogni probabilità quel percorso non porterà alcun valore aggiunto, né all’Azienda che l’ha proposto, né al collega che l’ha ricevuto.
Credo siano inefficaci anche i training “garantiti”: l’Azienda mi propone un corso di lingua, lo rinnova l’anno successivo e finisce che al terzo anno quel corso diventa un benefit acquisito. Non sono certa che il valore intrinseco si mantenga nel tempo, così come il commitment effettivo della persona.
Un percorso di formazione ha successo innanzitutto quando parte da un’esigenza reale: ad esempio, durante il primo lockdown abbiamo proposto un’iniziativa molto semplice che ha consentito a tutti i dipendenti che, su base volontaria hanno aderito, di conoscere cose nuove, di condividere paure ed emozioni, di sentire il parere di esperti, di mantenere le relazioni con i colleghi seppur a distanza… l’abbiamo chiamato #STAYCLOSE.