Oggi in Italia lavora solo una persona disabile su tre (32,5%), ancora problematico l’inserimento attraverso le liste di collocamento mirato. Ma quando le aziende investono in un cambio culturale, un obbligo di legge può diventare un’opportunità di crescita per tutti.
L’inclusione delle persone con disabilità sul lavoro è ormai parte integrante delle politiche di Diversity Equity and Inclusion, e, in base alla ricerca Adecco “Creare valore per il mondo del lavoro e per la società”, più di un’azienda su cinque in Italia (21,9%) ha attività dedicate. Eppure, ancora oggi i dati raccontano una situazione critica.
I numeri dell’esclusione
Nel 2021 solo una persona con disabilità su tre era occupata (32,5%), con uno “svantaggio” di oltre 20 punti percentuali rispetto alle non portatrici di disabilità (58,9%)[1]. I numeri Istat raccontano la fatica delle persone con diverse abilità ad entrare nel mercato del lavoro, anche a parità di qualifica: tra i laureati, la quota di occupati con disabilità è di 15 punti percentuali inferiore rispetto a quella delle persone senza limitazioni. La maggioranza invece, un milione di persone, è disoccupata o in cerca del primo impiego, con scarsa probabilità di trovare un impiego. Il sistema pubblico di collocamento, infatti, non riesce a finalizzare più di 20 mila (o 30mila nello scenario migliore) inserimenti l’anno, a fronte di oltre 800mila iscritti alle liste del collocamento mirato[2].
Cosa non sta funzionando?
Disciplinato dalla Legge n° 68/99, il collocamento mirato ha l’ambizioso obiettivo di supportare le persone con disabilità nella ricerca della posizione lavorativa più adatta a loro, attraverso l’inserimento nella graduatoria unica che il Centro per l’impiego utilizza quando un’azienda fa domanda per l’assunzione di una persona in categorie protette. Assunzione che tutte le aziende, pubbliche o private, sono tenute a fare, in base alla propria dimensione.
L’inclusione come “costo organizzativo”
La gran parte delle aziende (86%) ritiene l’inclusione dei lavoratori con disabilità sul lavoro prima di tutto un dovere sociale, ma – in base ad una ricerca appena presentata da Fondazione Italiana Accenture ETS insieme ad Accenture e SDA Bocconi – più di un terzo (35%) lo associa ad un costo organizzativo e un aggravio burocratico. A fronte di difficoltà oggettive, le aziende riconoscono però anche un miglioramento del clima e delle relazioni aziendali (39%) e un arricchimento del gruppo di lavoro (36%) con l’inserimento di una persona diversamente abile. Ma i diretti interessati cosa dicono? I dati raccolti da FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) insieme all’IREF, l’Istituto di Ricerche Educative e Formative, evidenziano che non è solo l’accessibilità fisica a limitare il lavoro delle persone con disabilità, ma anche e soprattutto la cultura aziendale. Infatti, per più di una persona disabile su due (57%) i pregiudizi di colleghi e superiori hanno influito negativamente sulla propria carriera lavorativa e una su tre dichiara di aver vissuto un’esperienza di discriminazione, legata a conflitti interpersonali ed esclusione dai processi decisionali.
Come trasformarla in un’opportunità?
Da cosa dipende quindi la buona riuscita dell’inserimento di una persona con disabilità? In base all’esperienza maturata, Adecco ha identificato una serie di strumenti ed attività utili per un’effettiva inclusione e valorizzazione delle persone con disabilità. In fase di recruiting, va messo nero su bianco il proprio impegno attraverso una policy di reclutamento inclusiva, ma anche – in caso ci si voglia spingere oltre – adottando il “blind recruitment”, nascondendo cioè tutte le informazioni che non siano le sole caratteristiche professionali. Per le persone che già lavorano in azienda, poi, è fondamentale agire su due fronti: da un lato sulla cultura aziendale, con percorsi di formazione ad hoc per tutti i collaboratori e una preparazione specifica per il gruppo nel quale verrà inserita la persona. E dall’altro sull’accessibilità degli uffici, per individuare le eventuali barriere architettoniche o le criticità nelle postazioni di lavoro. Ricordandosi che un’azienda inclusiva è meritocratica e quindi deve saper assicurare parità retributiva e benefici anche alle persone con diverse abilità.
La ricerca della Fondazione Italiana Accenture ETS conferma con i numeri che l’impegno e la preparazione del gruppo di lavoro in cui la persona è inserita è un elemento dirimente nell’inclusione di persone con disabilità sul lavoro (53%), seguito dalla sensibilità e dalla preparazione del manager di riferimento (38%). Lo studio evidenzia anche come lo strumento migliore in questi casi è la formazione (44%), unita alla presenza di tutor che accompagnino l’inserimento (85%) e a una chiara definizione del ruolo e delle mansioni (81%). In sintesi, gli strumenti ad oggi ci sono e le buone prassi anche, ma prima di tutto deve esserci un cambio di paradigma rispetto alla percezione della disabilità.
[1] Ultimi dati Istat disponibili, 2021 dal portale: https://disabilitaincifre.istat.it/
[2] Fonte: Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro, 2023