Intervista a Filippo Poletti

Top voice ufficiale di LinkedIn Italia, dal 2017 cura su LinkedIn una rubrica giornaliera dedicata ai cambiamenti nel mondo delle professioni. Il suo profilo è stato inserito da WikiMilano tra i protagonisti della metropoli italiana. Speaker e giornalista professionista ha collaborato con oltre 30 testate nazionali. Si occupa di relazioni pubbliche e comunicazione aziendale, ha collaborato come autore con diverse case editrici. Tra i suoi i libri Tempo di IoP: Intranet of People, Grammatica del nuovo mondo, MBA Power: innovare alla ricerca del proprio purpose, Ucraina: grammatica dell’inferno. Al suo attivo anche diverse esperienze come formatore in aziende, istituzioni e business school.

1.  Non tutti sono al corrente del tuo passato nel mondo della musica: quali sono state le tue esperienze in questo settore e cosa ritieni di aver tratto, e continui a trarre, da questa esperienza?

«Dite bene: ho studiato chitarra e composizione sperimentale, laureandomi in musicologia e diplomandomi in tecnico del suono. Successivamente mi sono iscritto alla business school del Politecnico di Milano per frequentare l’executive MBA serale. La vita mi ha portato a scrivere di musica sui media e, da lì, è iniziato il mio percorso giornalistico al fianco di tante testate. Almeno due sono gli insegnamenti della musica: il primo è la continua ricerca, perché la creazione anche musicale, al pari dell’esecuzione, è un percorso di cui si conosce l’inizio ma che non fa fine; il secondo insegnamento è la disciplina, perché chi canta o suona, così come chi compone, è un atleta che si allena quotidianamente con grande umilità».

2. Come è iniziato tutto? Quello che mi piacerebbe sapere è come e quando sei riuscito a realizzare tutto ciò, quando hai iniziato a capire che Linkedin per te stesse diventando più di un semplice social, dato che oggi sei uno degli influencer più seguiti sulla piattaforma.

«Nel 2017 volevo approfondire una dimensione del lavoro che era ed è quella del change management. Non trovavo in un solo portale gli spunti che cercavo quotidianamente: da qui l’idea di dar vita a una “rassegna quotidiana del cambiamento” su Linkedin. Mi sono sempre chiesto, e mi chiedo, come sia possibile evolvere e, soprattutto, quali sono gli esempi da seguire: ho cercato di dare qualche risposte, condividendo sul social media dei lavoratori alcune pratiche».

3. Ogni volta che una persona apre la tua pagina, non può fare a meno che notare il tuo comunicare sia uno stile comunicativo di sole notizie positive? Come mai?

«Su Linkedin sono l’editore di me stesso e, dunque, ho scelto il campo d’azione, ossia il racconto delle buone notizie. Gli americani dicono che “good news is bad news”, ossia che una buona notizia è cattiva in quanto non “buca l’attenzione”. Se tutto questo fosse vero, non si giustificherebbe il seguito che ha avuto il mio racconto quotidiano dal 2017 a oggi, con oltre 3.700 post condivisi e milioni di visualizzazioni».

4. Tra tutte le interviste che hai condotto, mi piacerebbe sapere se ce n’è stata una in particolare che ti ha lasciato un insegnamento indelebile o un’impressione duratura. Potresti condividere con noi quale è stata e cosa hai imparato da essa? Inoltre, si possono riassumere in categorie o emergono dei tratti comuni dei leader?

Anzitutto la “vista da 10 decimi”. Ho incontrato molte persone, come Luca Barilla, vicepresidente dell’azienda che mi ha parlato dello sviluppo naturale dell’azienda nei mercati globali o Piero Angela, di cui ho fatto un’intervista su LinkedIn, un incontro che mi ha insegnato molto sull’umiltà. Chi è veramente grande, dopo aver affrontato molte realtà e personalità, è umile, modesto, mai arrogante.

Penso anche a Corrado Passera, CEO di illimity, focalizzato sulla leadership innovativa in varie aziende. E a Luca Vignaga, CEO di Marzotto Lab, che parla di “leadership a elicottero”. Tutti i grandi leader che ho incontrato sono attenti al mercato e ai clienti, come Vincenzo Esposito, CEO di Microsoft Italia, o Cristina Zucchetti e Simone Mancini, CEO di Scalapay. Infine, hanno la capacità di realizzare grandi sogni.».

5. Nella tua pagina, discuti approfonditamente delle più recenti innovazioni introdotte dalle aziende, con un particolare focus sul benessere dei dipendenti, riflettendo così uno dei principali valori della nostra azienda: Human centricity. Mi piacerebbe sentire la tua opinione su come queste evoluzioni stiano impattando il panorama lavorativo e quali direzioni ritieni che le aziende dovrebbero gradualmente adottare.

«Il benessere è la chiave di volta del lavoro. È ciò che ciascuno di noi ricerca. La pandemia, sotto questo aspetto, ha cambiato la nostra scala dei valori, potremmo dire che ha modificato la celebre piramide di Maslow. È all’armonia tra vita e lavoro che tutti guardiamo. Le aziende, sotto questo aspetto, possono fare molto, curando le relazioni tra le persone così come presentando attenzione allo stato psico-fisico dei collaboratori. Un collaboratore sereno e in salute è il migliore investimento che un’azienda possa fare».

6. Tornando al tuo passato nel campo musicale, se dovessi rappresentare il campo della formazione con uno strumento con quale lo rappresenteresti e perché?

«La formazione è un diapason, ossia uno strumento che ci permette di essere intonati o in sintonia con il contesto lavorativo. Si parla frequentamente di reskilling. Non dimentichiamoci l’upskilling, ossia la maturazione delle competenze, siano essere “dure” o di “vita”, per consolidare la propria figura professionale e farla progredire».

7. Sta diventando evidente che ci stiamo immergendo sempre più nel mondo di Mylia, concentrandoci sempre di più sulla formazione. Qual è la tua visione riguardo all’evoluzione futura di questo settore? Ritieni che gli investimenti delle aziende siano sufficienti, o pensi che debbano essere potenziati ulteriormente? Chi avrà sempre di più un ruolo cruciale?

«Sono tante le occasioni formative sprecate. Si verificano soprattutto quando la formazione è imposta e non condivisa. Mi ha molto colpito un’indagine secondo la quale più del 70 per cento delle abilità dei lavoratori non sono utilizzate dalle aziende. Credo che il fine sia quello di trovare un punto di incontro tra le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei collaboratori. In questo senso la formazione continua può e deve fare tanto».

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